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Sento, dunque sono: come migliorare salute e benessere in una RSA

Medici, architetti, ingegneri, agronomi, psicologi: l’approccio per rilanciare la residenzialità per gli anziani è multiprofessionale.

Pubblicato il 25 Novembre, 2020 • di Redazione

Il Covid è l’occasione giusta. L’ultima chiamata per far ripartire la riflessione su un luogo che è nodale per la popolazione italiana, in costante invecchiamento. Progettare le residenze del futuro significa, per tutti, proiettare lo sguarda a quello che potrebbe essere il futuro di ciascuno.

Sistemi per il ricambio costante dell’aria, come la ventilazione meccanica controllata. Tecnologie per la purificazione da virus e batteri, come la ionizzazione o la fotocatalisi, che stanno dimostrando la propria efficacia anche contro il coronavirus. Ancora: soluzioni (più o meno temporanee) per un ripensamento degli spazi, per consentire – con barriere flessibii e in tessuto – di non precludere alle persone ricoverate un contatto pur minimo con parenti e amici. Fino a piccoli accorgimenti: far filtrare più luce nella stanza, studiarne i colori, agire sui profumi o sul sapore, magari speziato, del cibo. Attenzioni che possono fare la differenza in un luogo pensato a misura di anziani. Perché è in questa fase della vita – più che in altri momenti della nostra esistenza – che gli stimoli devono farsi più forti, devono riuscire a intercettare i sensi sopiti, per restituire uno stato di connessione, per sanare la voragine della solitudine, per riattivare la vita.

Le residenze per anziani (RSA) a causa della recente pandemia sono diventate l’edifico simbolo dell’insalubrità e del contagio: il virus ha fatto emergere, potente, la fragilità di immobili frutto di scelte strutturali inadeguate o poco efficenti. Tuttavia, oggi e proprio in piena crisi sanitaria, occorre avviare la riflessione su un modello edilizio che deve cambiare. Che è chiamato ad evolvere, a fronte di una popolazione che sempre più avrà necessità di trovare luoghi confortevoli per trascorrere con serenità l’ultima parte della propria vita.

A questa delicata come indispensabile riflessione è stato dedicato l’evento webinar del 21 novembre 2020 dal titolo RSA: UN DIALOGO FRA IL MONDO DELLA SALUTE E DELL’EDILIZIA, organizzato dalla piattaforma giornalistica Home, Health and High-Tech. Fra i relatori, medici, architetti, consulenti delle RSA, ingegneri e agronomi: un parterre interprofessionale per mettere in luce carenze, bisogni e opportunità delle residenze destinate ad accogliere unlstrasettantacinquenni in salute o malati.

L’architettura – è dimostrato – può avere un ruolo determinante nel miglioramento della condizione fisica e psichica di un malato. Predisporre il contesto ad accogliere l’abitante fa la differenza. Sulla piccola così come sulla grande scala. Ecco allora che il coronavirus rappresenta l’occasione per ripensare questi ambienti. Per frenare la diffusione dei contagi, ma soprattutto per guardare a un modello che inauguri una nuova stagione per le RSA anche quando la pandemia sarà solo un lontano ricordo.

«Come vorrei che fosse quella che, fra una manciata di anni, potrebbe essere la mia residenza?», la domanda del professor Maurizio Grandi, oncologo, immunoematologo e docente al master di Antropologia dei sistemi complessi, risuona nel primo intervento del webinar. Una domanda che rivela la concretezza di un approccio non clinico e neppure tecnico. Lo sguardo, infatti, è prima di tutto quello di un uomo, che si interroga per l’uomo e che cerca di calarsi nei panni di chi deve “abitare” un’architettura.

Con una buona progettazione, possiamo avere la possibilità di creare spazi in cui recuperare tutta quella multisensorialità che con la vita contemporanea stiamo perdendo, ma che, come ricorda il dottor Grandi, ci consente di condurre una vita sana e ricca. Ma da dove partire? Quali sono i punti di forza e le debolezze su cui ancora occorre lavorare, per mantenere la dignità della persona e un forte legame con una comunità che sia interna e anche esterna alla casa di riposo stessa.

L’organizzazione degli spazi, innanzitutto. Che devono essere familiari, ma devono dialogare con l’anziano. Metterlo a proprio agio, stimolando il ricordo del passato e abbattendo barriere d’uso. Una RSA deve consentire a ogni persona di continuare a vivere la propria quotidianità e, quindi, la vita confortevole di casa e deve creare occasioni di socialità per stimolarle i pazienti e spronarli a un arricchimento personale.

Quindi, la salubrità degli ambienti. In tempo di Covid e non solo. Usando una corretta ventilazione, ma ricorrendo anche alle tecnologie oggi disponibili per la sanificazione dell’aria.

E ancora, valorizzando gli apporti di luce naturale, il contatto con il verde indoor e outdoor e un facile accesso a un giardino pensato e progettato da architetti, agronomi e psicologi. Funzioni e servizi che consentano e favoriscano il mantenimento, da parte degli ospiti, di una propria autonomia e di una personale gestione del tempo, così da alleggerire il carico lavorativo degli operatori sanitari e, insieme, da aumentare l’autostima dei pazienti. Ancora, uno stretto legame con l’ambiente comunitario esterno, che permetta agli anziani di muoversi in sicurezza e fornisca loro la rete di socialità necessaria a una vita soddisfacente e dignitosa.

«Progettare una RSA significa avere un approccio multidisciplinare al tema – spiega dichiarato l’architetto Stefano Capolongo, direttore ABC Politecnico di Milano -. Vuol dire pensare a un edificio che deve essere capace di ospitare persone di tutte le età e dalle diverse condizioni di salute e che va pensato, oltre che per curare malattie e disturbi, per aumentare il benessere di ognuno». Perché questo nuovo modo di progettare diventi una realtà, i professionisti e gli specialisti dei diversi settori devono sedersi a uno stesso tavolo e unire le rispettive competenze per donare a chi ne ha bisogno un rifugio e una nuova casa dalla forte componente sociale e comunitaria.

Una RSA in fondo non è «una struttura monumentale o museale che, per quanto bella, non sia in grado di accogliere le reali necessità di ognuno», come ha spiegato Mauro Frate, progettista e docente presso IUAV Venezia. Ma un luogo dove privacy e spazi contenuti e riservati si accompagnino ad ambienti dedicati all’inclusione e alla connessione degli uomini con gli uomini.

Di Giorgia Bollati e Maria Chiara Voci