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Dalla Germania in Italia: la medicina ambientale diventa “clinica” e studia le interazioni luogo fisico-salute

La Medicina Ambientale Clinica è la branca che studia l’epidemiologia, la diagnosi e la terapia delle nuove, emergenti, patologie legate all’ambiente. Si tratta di una disciplina che non è ancora presente nell’ordinamento universitario italiano, ma che può essere studiata e approfondita grazie alla formazione post-laurea proposta dall’Assimas. Da gennaio 2022, l’Associazione Italiana di Medicina Ambiente e Salute è partner di Home, Health & Hi-Tech.

Pubblicato il 9 Febbraio, 2022 • di Maria Chiara Voci

La tosse cronica di un bambino può derivare dalla presenza di muffe o inquinanti nella sua camera o nella classe che frequenta tutti i giorni? La cefalea di cui soffrono molte persone, giovani e meno giovani, può essere innescata dalla costante esposizione a formaldeide o a campi elettromagnetici? Un’aritmia cardiaca o l’ipertensione arteriosa possono derivare da un carico di metalli pesanti? Sono queste le “nuove” domande che i medici (a partire da quelli di medicina generale) dovrebbero sempre porsi di fronte a un paziente affetto da una patologia cronica.

Ciò che la pandemia, ancora in corso, ci sta insegnando è che l’ambiente in cui viviamo può avere un impatto dirompente sulle nostre vite. Questa affermazione è tanto più vera quando si parla di malattie croniche, sempre più diffuse fra la popolazione contemporanea.

Come appurato da diversi studi internazionali (per citarne uno, questo studio dell’Istituto Superiore di Sanità),  il 24% delle malattie e il 23% delle morti sono attribuibili a fattori ambientali: un trend che può essere corretto solo attraverso la conoscenza del rischio e la conseguente correzione di comportamenti associata a un adeguato intervento terapeutico. Una corretta diagnosi delle cause che concorrono all’innesco di una patologia cronica non può, pertanto, limitarsi alla esclusiva valutazione della corretta alimentazione, del regolare svolgimento di attività fisica o della assenza di stress. Bisogna valutare anche l’impatto dell’ambiente sulla persona. Insetticidi, pesticidi, diserbanti, coloranti, metalli pesanti, elettrosmog, OGM, muffe, nanoparticelle, conseguenze del disboscamento, effetto serra, scarichi industriali: sono tutti potenziali fattori di rischio di cui non può essere ignorato il potenziale concorso in relazione a malattie sempre più diffuse, come la MSC o Sensibilità Chimica Multipla, la Sindrome da Fatica Cronica o CFS, le neoplasie, la fibromialgia o FM, il morbo di Parkinson, la malattia di Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica SLA e le mitocondriopatie. 

Di questo tema si occupa la Medicina Ambientale Clinica, branca che studia l’epidemiologia, la diagnosi e la terapia delle nuove, emergenti, patologie legate all’ambiente. Una disciplina che non è ancora presente nell’ordinamento universitario italiano (ma che è presente come cattedra d’insegnamento universitario in numerose città in Germania), ma che può essere approcciata attraverso specifici corsi post-laurea, fra cui spicca quello dell’Assimas, l’Associazione Italiana di Medicina Ambiente e Salute, fondata nel 2012 e da anni attiva nella formazione di medici e operatori sanitari, così come di architetti e altri professionisti (ad esempio, avvocati) che si trovano oggi a dover affrontare il tema dell’interazione fra uomo e luogo in cui vive. Da gennaio 2022, Assimas è partner del progetto di comunicazione Home, Health & Hi-Tech, dedicato alla diffusione di notizie sull’importanza della salubrità degli ambienti indoor e outdoor.

Antonio Maria Pasciuto, da 37 anni specialista in Medicina Interna ed esperto in “Medicina Ambientale Clinica”.

Da dove nasce il suo interesse per la Medicina Ambientale?

«Per anni ho lavorato come medico di medicina generale in Italia e, a mano a mano che cresceva la mia esperienza, sempre di più iniziavo a rendermi conto della stretta correlazione fra malattia cronica e sovraccarico di tipo ambientale. Tale correlazione, tuttavia, fino a una quindicina di anni fa, era tema esclusivo di studio della medicina del lavoro. Si tratta, tuttavia, di un paradosso. Per quanto sia importante tutelare la salute di chi lavora, è assodato che l’esposizione a sostanze nocive non avviene tanto e solo all’interno di un ufficio, quanto più in casa, per strada, in palestra, a scuola o in altri luoghi della vita quotidiana».

In Germania, però, ha scoperto che esisteva la Medicina Ambientale Clinica?

«Esatto. Grazie alla mia conoscenza del tedesco, ho potuto frequentare il corso di formazione proposto da Europaem, l’Accademia Europea di Medicina Ambientale, riconosciuta dall’Ordine dei Medici della Baviera. Io stesso oggi sono membro del Consiglio Direttivo di Europaem. Pregio di questa istituzione è l’aver associato per prima alla cattedra di “Umweltmedizin”, (presente in diversi atenei, da Monaco a Berlino, e incentrata sullo studio dell’igiene e della prevenzione sui luoghi di lavoro), il concetto di “clinica”, ampliando di fatto il raggio di azione dell’indagine. Da questa mia esperienza è nata in Italia l’Assimas».

All’estero, oggi, la Medicina Ambientale Clinica è riconosciuta come specialità?

«Attualmente in  Germania esiste la specialità di Medicina Ambientale. Si sta lavorando per meglio definirla e arricchirla con l’aggettivo “clinica” in modo da dare a tale disciplina un carattere appunto più clinico. La formazione in tal senso viene offerta da Europaem, che è un’accademia privata. Di fatto i corsi sono riconosciuti dal sistema ordinistico statale. In Spagna, invece, esiste presso l’Università Complutense di Madrid una “Cátedra Extraordinaria Patología y Medio Ambiente” nel “Departamento de Anatomía Patológica”».

Il vostro corso quale tipo di abilitazione rilascia?

«Il nostro iter formativo è standardizzato rispetto a quello messo a punto a livello europeo da Europaem ed equivale a una formazione postlaurea. I temi sono diversi e anche trasversali. Solo per fare qualche esempio, non ci limitiamo al coinvolgimento di medici, ma affrontiamo il tema in modo olistico. Portando in cattedra anche architetti, filosofi o teologi. Parlare di salute oggi significa sempre di più avere un approccio aperto, che definisce prima di tutto cosa è la salute per sondarne tutti gli aspetti. Non si tratta di misurare parametri e prescrivere pillole. Occorre umanizzare il modo con cui anche noi professionisti curiamo i nostri pazienti».

Sta cambiando la figura del medico?

«Più che altro è in atto un ritorno all’essenza più pura della nostra professione. Per aiutare i pazienti affetti da MCS, ma anche dalle tante patologie ad essa correlate, come ad esempio la Fibromialgia, la Sindrome da Stanchezza Cronica, la Sindrome dell’Edificio Malato, l’Elettrosensibilità, ma anche da tutte le patologie croniche e da molti disturbi funzionali (peraltro in grandissimo aumento), il medico non deve fare nient’altro che ricordarsi quali sono i suoi compiti precipui, quelli cioè di arrivare a formulare una diagnosi che non sia sintomatica, né descrittiva, ma una diagnosi eziologica, ricercando cioè a fondo le cause, in modo da procedere finalmente, e con maggiore possibilità di successo, a una terapia causale».

Ci sono esempi pratici che ci può raccontare?

«I colleghi che hanno seguito i nostri corsi, ci hanno rivelato che è cambiata la loro vita professionale. Un collega, aiuto neurologo, ci ha rivelato che di fronte a bambini affetti da disturbi di iperattività e deficit di attenzione ADHD), è stato possibile trovare la cura collegando la patologia alla presenza di mercurio, VOC (Composti Volatili Organici) e metalli pesanti nell’ambiente in cui viveva. Un semplice esame delle urine ha rivelato una causa ambientale che non solo gravava sulla salute del piccolo, ma anche di altri componenti della sua famiglia, che essendo meno sensibili e fragili non presentavano conseguenze evidenti».

Quali sono gli strumenti a disposizione di un medico per sondare l’ambiente di vita di un paziente?

«A seconda del problema, esistono esami di laboratorio che possono essere consigliati, come quello delle urine. Ma non è l’unica strada. Ad esempio, per verificare esistono specifici misuratori per rilevare la presenza di formaldeide in uno spazio, sostanza già da tempo definita dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) come sicuro cancerogeno, così come appositi terreni di coltura per scoprire se nell’aria che respiriamo in casa sono presenti delle muffe, in grado di causare effetti tossici e allergizzanti. La valutazione di un possibile inquinamento indoor dovuto a tali fonti, da verificare con i sistemi appena citati, dovrebbe entrare nella pratica di routine di ogni medico che si occupa di malattie respiratorie e/o allergiche. Ciò che dovrebbe fare il medico, in presenza di praticamente tutte le patologie croniche, è un biomonitoraggio per verificare l’eventuale presenza di sostanze tossiche e nocive nell’organismo del paziente, oltre ad un monitoraggio ambientale».