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La prevenzione della salute? Passa anche per la qualità dell’aria. Ecco perché…

Fare prevenzione sulla salute? Un’azione che può partire anche da una corretta configurazione dello spazio architettonico della casa in cui viviamo e che vede coinvolti non solo medici e infermieri, ma anche amministratori, progettisti e impiantisti.

Pubblicato il 1 Ottobre, 2021 • di Maria Chiara Voci

Il perché lo ha spiegato l’architetto Leopoldo Busa, esperto di qualità dell’aria indoor e fondatore di Biosafe, che sabato 25 settembre 2021 è intervenuto a Torino al convegno “Cuore e Cervello”, organizzato da ACSA con AIP Piemonte e Valle d’Aosta. A un pubblico composto da medici di medicina generale, cardiologi, geriatri e psico-geriatri – in aula per la formazione ECM – l’architetto ha spiegato perché la prevenzione passa anche dal luogo fisico in cui ogni persona trascorre il proprio tempo quotidiano.

«Si parla spesso di comfort inteso come comodità e bellezza di un ambiente – ha esordito Leopoldo Busa -. Credo che occorra riposizionare il significato del termine per farlo coincidere con la prevenzione e dunque con la salute. Perché una casa è confortevole solo se è sana». Eppure tutti in casa – e così anche in una RSA – viviamo a costante contatto con diversi inquinanti in modo più o meno consapevole. Correndo il rischio di innescare, giorno dopo giorno, patologie cronico-degenerative o di aggravare patologie che già sono in azione nel nostro corpo.

Quanto raccontato dall’architetto Busa a Torino è supportato dal confronto con l’esperienza pratica di una osservazione reale, realizzata sul campo e a inizio del 2021 in una RSA di Varese dai tecnici di Biosafe, società che si occupa di rilevare lo stato di salute dell’aria negli immobili e di trovare soluzioni risolutive nonché della successiva certificazione di salubrità degli ambienti. «Abbiamo analizzato l’aria all’interno della struttura – racconta Busa – e abbiamo trovato diversi fattori di inquinamento. Cioè la presenza di polveri sottili, una concentrazione di CO2 che in diverse ore della giornata superava la soglia minima di salubrità, soprattutto livelli di composti organici volatili molto al di sopra dei limiti definiti dalla legge come livelli di controllo sulla salute».

Una situazione che dipendeva in parte dalla “fisicità” dell’edificio RSA e in parte dal cattivo uso inconsapevole degli ambienti da parte di ospiti e operatori della struttura. «Perché in media il 50% delle responsabilità quando uno spazio costruito è inquinato sono imputabili ai materiali con cui è realizzato l’involucro edilizio o alla cattiva manutenzione degli impianti, in primis quelli di areazione. L’altro 50% dipende da come l’ambiente è arredato, dalle attività che vengono svolte al suo interno, persino dalle abitudini o dagli indumenti delle persone all’interno».

Ma quali sono nello specifico gli inquinanti osservati e cosa producono? Soprattutto, quali sono le soglie di allerta e da chi sono imposte?

I VOCs (acronimo inglese che sta per volatile organic compounds) sono composti di origine chimica, fisica o biologica le cui molecole sono caratterizzate da un’alta volatilità e che possono essere molto dannosi per la salute, soprattutto se respirati giorno dopo giorno in quantità superiori alle soglie di attenzione definite dalla legge. Fra i VOC (oltre 900 quelli individuati) spiccano composti chimici emessi da rivestimenti (come la dannosa formaldeide, oggetto di diversi studi), ma anche alcoli e fenoli contenuti ad esempio nei prodotti per la pulizia, gas come il radon, così come polveri sottili, fino a muffe, virus e batteri. Fino alla stessa anidride carbonica, che non è di per sé un gas dannoso, ma è irrespirabile e che incide – quando la concentrazione è troppo elevata in un ambiente – sulla possibilità di mantenere l’attenzione.

Come vanno misurate le concentrazioni in ambiente?

Rispetto alla concentrazione di sostanze chimiche nell’aria (o Voc di origine chimica), la Francia, così come la Germania e gli Stati Uniti, hanno stilato una serie di riferimenti normativi che hanno a che fare con la legislazione sulla sicurezza del lavoro e che sono definite come “Liste di rischio” o LCI. Tutte si basano su un concetto semplice che è sotteso anche nell’acronimo stesso LCI o Lowest Concentrations of Interest: i Voc in ambiente devono stare al di sotto di una concentrazione massima di 300 microgrammi al metro cubo. Oltre questo limite possono dare origine a patologie anche gravi.

Per ciò che riguarda l’anidride carbonica, l’American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers, meglio nota con l’acronimo ASHRAE, cioè l’ente internazionale con sede a New York e che si occupa di normative nei campi del riscaldamento, della ventilazione, del condizionamento dell’aria e della refrigerazione, ha stabilito che non deve essere mai superiore alla concentrazione che viene rilevata in un luogo aperto aumentata di 700 parti per milione. La concentrazione all’aria aperta viene monitorata con costanza periodica dall’Osservatorio Mauna Loa attraverso la cosiddetta curva di Keeling, è stata fissata nel mese di aprile 2019 a 410 parti per milione (ppm). Ciò significa che in un ambiente confinato non va oggi superata la soglia di 1.100 ppm. 

Le concentrazioni di polveri sottili (che sono prodotte in ambiente outdoor e che in indoor vengono ingabbiate) sono normate dal decreto legislativo 155/2010, il medesimo che regola la possibilità di disporre un blocco al traffico veicolare. In media, dentro una stanza, la concentrazione è fino 5 volte maggiore rispetto all’aria aperta.

Per ciò che concerne, infine, muffe, batteri e virus diverse sono le linee guide in vigore, emanate dall’Ispra, dall’Inail o (in Germania) dall’IBN.  Pulita si può definire quell’aria dove un monitoraggio microbiologico rilevi livelli al di sotto di 50 UFC (o unità formanti colonia) per metro cubo. Un’aria molto sporca si rileva al di sopra delle 10mila UFC/metro cubo.

Cosa è stato osservato nella RSA di Varese e con quali strumenti?

A febbraio del 2021 Biosafe ha realizzato una serie di monitoraggi prelevando campioni di muffe aerodisperse che sono stati messi a contatto con cultura e osservati a microscopio. Inoltre, negli ambienti sono stati posizionati cartucce assorbenti ai carboni attivi per una settimana così da poter analizzare gli inquinanti in laboratorio. Risultato. Per ciò che riguarda la CO2 sono stati rilevati diversi superamenti sopra la soglia dei 1.100 ppm in relazione alle ore della giornata e all’affollamento della struttura. Relativamente bassa si è, invece, rivelata la presenza di polveri sottili: questo in ragione del luogo fisico in cui era collocata la RSA, lontana da zone ad alto traffico veicolare. Molto alti e preoccupanti, invece, si sono rivelati i campionamenti eseguiti sulla presenza di VOC, con concentrazioni per alcuni prodotti anche superiori ai 29mila microgrammi/m3.

Possibili soluzioni e che cosa è la VMC?

«Eseguire un intervento per mettere in sicurezza un ambiente inquinato significa agire con una soluzione che non può essere spot e una tantum, ma strutturale e soprattutto combinata – spiega Leopoldo Busa -. Non solo. Va, infatti, trovata una strada per una risposta dinamica ai problemi, che mutano nel corso della giornata». Fra le possibili soluzioni, non potendo il più delle volte agire in modo strutturale (ad esempio, ristrutturando gli spazi ed eliminando i rivestimenti inquinanti) e non ritenendo sufficiente la sola apertura periodica delle finestre (che comunque non protegge dalla presenza di polveri sottili e che dovrebbe essere effettuata come minimo ogni due ore in ogni locale per un minimo di 5 minuti) viene in aiuto l’impiantistica. Tre le soluzioni più efficaci. La prima e più importante è quella di inserire un impianto di VMC o ventilazione meccanica controllata, cioè un sistema capace di sostituire l’azione di apertura e chiusura delle finestre. Si tratta di una tecnologia che può essere integrata in modo più ìstrutturale (con impianti centralizzati) o in modo puntuale (ambiente per ambiente). Il sistema preleva l’aria esterna e la filtra immettendola nell’ambiente e al tempo stesso espelle l’aria viziata, garantendo un ricambio omogeneo in una stanza. Grazie a uno scambiatore di calore, la maggior parte dei dispositivi oggi sono dotarti di uno scambiatore di calore che preriscalda l’aria fredda dall’esterno in inverno, grazie all’azione di scambio con l’aria calda che esce, e pre-raffreddano l’aria calda in estate, così da immetterla in un edificio a una temperatura efficiente, che non richiede troppa energia per essere portata alla temperature ideale. Accanto alla VMC, esistono sistemi per la purificazione attiva dell’aria interna, grazie a tecnologie come laionizzazione con plasma a freddo o la fotocatalisi indotta da raggi UV che, grazie alla produzione di una carica elettrica, riescono a distruggere la membrana lipidica e proteica dei virus, inertizzandoli. Anche in questo caso la soluzione può essere implementata in un immobile con sistemi stand alone, stanza per stanza, o centralizzati e integrati agli impianti di aerazione generale.

 Il risultato raggiunto

«Nel caso della RSA di Varese i risultati sono stati immediati – racconta Busa -. L’osservazione della situazione post inserimento di un impianto di VMC e di un sistema di ionizzazione a plasma a freddo ha consentito di abbattere, dati alla mano, il 50% delle polveri sottili, virus e batteri e il 25% dei VOC chimici. Annullando completamente il ristagno di aria e la presenza di concentrazioni di CO2 sopra le soglie di attenzione».